Bella

Bella. La sua comparsa per la strada aveva provocato un effetto tipo Mar Rosso sulla folla che si era aperta spontaneamente al suo passaggio.

Bella. Camminava con passo spedito, incurante di attirare su di sé gli sguardi ammirati dei passanti. Le donne si limitavano ad osservarla con la coda dell’occhio con un’espressione di finta indifferenza colma di invidia. Gli uomini rischiavano un torcicollo permanente pur di poterla osservare qualche istante di più. Alcuni arrivavano addirittura a sottoporsi ad una rotazione del collo che neanche il più sadico dei massaggiatori di Shiatsu avrebbe osato tentare.

Bella. Attraverso la generosa scollatura di una camicia di seta bianca s’indovinavano due seni perfetti esibiti spavaldamente come se stesse sollevando il trofeo sul campo centrale di Wimbledon. Il suo profumo lasciava una scia che ammaliava tutti coloro che le passavano accanto, rapendo insieme al loro sguardo anche i loro pensieri, i loro sogni, i loro rimpianti.

Bella, ma bella davvero. Camminava con passo affrettato e deciso, guardando dritto davanti a sé, indifferente rispetto a tutto ciò che la circondava. Aveva il tipico atteggiamento un po’ scostante di chi era stata importunata tante volte dai commenti pesanti di qualche ragazzotto o dagli sguardi insistiti di tanti uomini volgari che l’avevano resa prevenuta nei confronti di qualsiasi incontro facesse per la strada.

Bella, anzi bellissima. Fermo con lo scooter al semaforo, nascosto dietro le lenti verde scuro degli occhiali da sole, David le attribuì il titolo di miss via Cola di Rienzo, permettendo ai suoi occhi di uscire temporaneamente dalle loro orbite. La osservò con attenzione: studiò la sua maniera di muoversi e di camminare, cercò nel suo abbigliamento qualsiasi indizio gli parlasse di lei, del suo carattere e della sua vita. La seguì fino a quando le sue diottrie non glielo consentirono; infine tirò le somme della propria indagine.

Nubile, come rivelava l’assenza di una fede al dito. Affascinante, ma anche energica, volitiva e soprattutto: brava. Soltanto osservando il suo atteggiamento sicuro di sé si poteva scommettere sul successo della sua attività, qualunque essa fosse.

Bella, d’accordo, ma probabilmente anche un tantino stronza, con quel fare brusco ed altero di chi nella propria vita aveva conosciuto tanti uomini, molti dei quali l’avevano corteggiata e lusingata al punto che ormai nulla poteva più stupirla. David lasciò che la propria immaginazione partisse al galoppo ed iniziò le riprese del suo nuovo film.

S’immaginò vent’anni più tardi nell’atto di osservare l’oceano, perso nei propri pensieri, mentre se ne stava sdraiato su di un’amaca all’ombra della veranda della propria villa di Malibù.

Ormai veniva a Los Angeles sempre più di rado dato che trovava più confortevoli ed adatte al proprio stile di vita le ville che possedeva in Europa, ma questa aveva per lui un valore sentimentale particolare.

L’aveva arredata con Veronica, forse la donna più importante della sua vita. David ripensò con nostalgia alla prima volta che l’aveva vista passeggiare in via Cola di Rienzo. Ricordò come in sella al suo scooter fosse rimasto colpito dall’effetto tipo Mar Rosso che la sua comparsa per strada aveva provocato sulla  folla che si era aperta spontaneamente al suo passaggio.

Gli capitò di incontrarla nuovamente qualche mese più tardi, per caso, ad una cena presso degli amici comuni. Qualcuno, non ricordava più chi con esattezza, li presentò.

Cominciarono a parlare della loro amicizia con i padroni di casa quindi delle rispettive attività e della comune passione per lo sport, per il cinema e per i libri. Con il passare dei minuti si allontanarono dai binari consueti della tipica conversazione mondana scoprendo affinità sempre maggiori: anche lei era allergica alla peperonata, agli ipocriti ed alla maggior parte dei conduttori televisivi. Tutto ciò convinse David di aver finalmente trovato, dopo un lungo ed affannoso cercare, la donna della sua vita.

Soltanto a fine serata si accorsero di aver catalizzato l’attenzione degli altri invitati dato che avevano finito per isolarsi  conversando  tra loro per  tutto il tempo. Fu proprio Veronica al momento dei saluti a proporgli di rivedersi.  Lei sembrava affascinata dalla profondità ed intelligenza di David, lui era rapito dalla sua straordinaria bellezza e vitalità. Iniziarono a frequentarsi, a poco a poco sempre più regolarmente, finché una sera  David, sotto casa, la baciò.

La loro fu una relazione tenera e profonda. Furono amici, compagni di gioco, complici, amanti. Seppero ridere insieme, discutere e comprendersi.  Furono capaci di condividere le loro passioni e gestire con saggezza le diversità.  Veronica si addormentò soltanto pochissime volte a  teatro nel  vedere gli spettacoli a cui lui la trascinava. David, da parte sua, mangiò sempre fino all’ultimo boccone le cenette che lei gli preparava malgrado la sua vocazione per privare tutto ciò che cucinava del benché minimo sapore.

Il giorno in cui lei  si trasferì per lavoro in Australia tutti e due sapevano che questo avrebbe significato la fine della loro relazione ma l’accettarono senza drammi, gestendo anche l’ultimo episodio della loro storia con la saggezza e la maturità di sempre.

In seguito per David arrivò la fama ed il successo. Ebbe diverse altre relazioni, alcune delle quali con affascinanti attrici e splendide modelle ma il ricordo di  Veronica non lo abbandonò mai, rimanendo custodito per sempre con tenerezza nel proprio cuore.

Quando casualmente, qualche anno dopo, venne a sapere che nel frattempo Veronica si era sposata con un ricco uomo d’affari di Sidney fu profondamente commosso nel sapere che da quella relazione era nato un figlio che lei aveva assolutamente voluto chiamare David, in ricordo di colui che le aveva restituito la fiducia negli uomini ed insegnato ad amare…

 

Un maxiscooter con dei nastrini gialli e rossi legati agli specchietti era fermo al semaforo dietro di lui. Alla sua guida un ominide con una bandana che sporgeva da sotto il casco, megaocchiali da sole, infradito ai piedi ed abbronzatura da ustionato del quinto grado suonò il clacson con intensità inversamente proporzionale al proprio bagaglio culturale.

David fu improvvisamente risvegliato dal suo sogno ad occhi aperti. Attorno a lui manifestini con scritte coloratissime erano affissi sui muri e sui pali della luce. Facce di cantanti un tempo vagamente noti si mescolavano a quelle ultrasorridenti di sedicenti comici che animavano le varie serate di quell’inizio d’estate all’ombra di questo o quel monumento.

Al suono di un « e ‘namo, no » e un « movite, daje », si accorse  che nel frattempo il semaforo era diventato verde. Girò la manopola del gas  e partì.

Estratto da “Giugno, anime inquiete”

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