Dimenticarsi di vivere

Nel frattempo gli anni passavano; si era ritrovato ragazzo quasi senza accorgersene, sempre nell’attesa che un giorno giungessero finalmente due occhi limpidi e sinceri a guardarlo innamorati. Immaginava di incontrarli uscendo dall’ascensore, entrando a scuola o sbattendoci contro per caso. Di quegli occhi serbava una fotografia stampata in fondo all’anima. Li avrebbe riconosciuti a prima vista donandosi a loro immediatamente con tutto se stesso. Lo avrebbero trovato sollecito, sensibile, comprensivo, generoso. Niente altro avrebbe contato per lui che vederli sorridere. Avrebbe colto le emozioni mute nascoste in ogni  sguardo, portato conforto ad ogni lacrima e partecipato ad ogni loro lampo di felicità.

Ma per quanto continuasse ad attendere e sognare, nessuna lo aveva mai guardato con quegli occhi. Perciò, quando aveva incontrato Giulia, il suo amore introverso per lei lo aveva definitivamente convinto del proprio destino votato ad un lungo ed infelice affannarsi.

I suoi anni migliori erano volati via così e tra delusioni ed amarezze si era ritrovato ad aver superato i trent’anni ancora impantanato nella disperata ricerca di liberare il suo cuore. Tante volte lo aveva sentito fremere dentro di sé come l’agitarsi delle ali di una colomba strette tra le sue mani, impazienti di liberarsi in volo. E più questi sentimenti rimanevano lì in agguato, inespressi, più la sua vita gli appariva senza senso, incolore. Per lungo tempo era stato impegnato a commiserarsi, rannicchiato in un angolo, a testa bassa, schiacciato dalle continue conferme su tutto ciò che lo faceva sentire inadeguato e sconfitto.

Così, in tutto quel soffrire,  alla fine si era dimenticato di vivere.

Massimo Di Veroli – “Giugno –  anime inquiete”

Brindisi di Capodanno

(…) Quando a qualche minuto dal brindisi di mezzanotte Stefano si avvicinò sorridendo con due calici di champagne, lei gli disse guardandolo intensamente con occhi pieni di rammarico:

« Piuttosto che gli auguri dovrei farti le mie scuse ».

« Anch’io dovrei scusarmi con te di tante cose ».

« No tu non devi chiedere scusa di nulla » lo interruppe Claudia.

« Invece si », insistette Stefano, « dovevo cercare i tuoi bisogni più profondi e non smettere mai di ascoltarli. A volte ti ho lasciata sola di fronte alle cose che della nostra vita insieme ti soffocavano. Tu sei uno spirito libero, Claudia. Amarti vuol dire donarsi a te senza reclamare niente in cambio. Dovevo accettare di appartenerti senza che tu mi appartenessi. Dovevo lasciarti respirare perché tu hai bisogno come l’aria di quegli spazi vitali che sono tuoi e solo tuoi. Mi sono perso dietro a decine di impegni, preoccupazioni e problemi dimenticando che la mia priorità eri e dovevi rimanere solo tu ».

« No, non è di questo che avevo bisogno », rispose Claudia, « sei sempre stato fin troppo paziente con me. Di libertà ne ho sempre avuta tanta e l’ho utilizzata soltanto per contorcermi su me stessa in cerca di chi fossi o sarei potuta essere. Ma questo è un argomento troppo lungo e doloroso. In ogni caso tu non c’entri nulla. Ero io il problema, non tu ».

« Può darsi, ma io avrei potuto evitare di farti sentire incompresa e lasciarti sola con le tue insoddisfazioni. »

« No, smettila di colpevolizzarti! Sono stata io la responsabile di tutto. Soprattutto di aver dimenticato chi avevo accanto e di non aver saputo apprezzarti come meritavi » confessò Claudia con amarezza. Quindi continuò come se a quel punto non potesse più trattenersi: « Non so perché ma ad un certo punto non vedevo più te ma qualcuno identico a te, che parlava come te, si muoveva come te e che io non sopportavo. Non era per qualcosa che avessi fatto o che, viceversa, avessi smesso di fare. Ero io che volevo vederti così per sentirmi meno orribile. Avevo un assoluto bisogno di credere che se eri tu che non riuscivi a comprendermi allora non ero io il problema. Soltanto quando sono rimasta in balia di me stessa ho capito come fosse vero esattamente il contrario. E’ stato vivendo al tuo fianco e grazie al tuo sostegno che ho potuto costruire quel poco di buono che ho realizzato nella mia vita ».

A quelle parole Stefano abbassò gli occhi. Intorno a loro gli altri invitati con le bottiglie in mano, a pochi secondi dallo scoccare della mezzanotte, già avevano cominciato il conto alla rovescia in preda all’annuale fanciullesco entusiasmo.  Quindi, con un filo di voce appena udibile a causa del frastuono provocato da tanti elettrizzati stappatori di champagne, disse: « Sei sempre in tempo per tornare indietro. Io non ho mai smesso  di amarti ».

« Ma sei pazzo? » sorrise imbarazzata Claudia. «  Già ho rovinato dodici anni della tua vita! ».

«  Lo sai che mi piace soffrire ».

« Ti pentiresti dopo una settimana al mio primo rodimento ».

« Be’, tu mettimi alla prova… ».

« E cosa gli raccontiamo ai ragazzi? » rispose Claudia guardandolo negli occhi lusingata ed incredula.

Quando la mezzanotte era già scoccata da un po’, i brindisi tutti consumati e gli auguri tra gli ospiti in pieno svolgimento, nessuno badò al bacio tra Stefano e Claudia che inaugurò insieme al nuovo anno anche il loro nuovo inizio. (…)

                                                                        Massimo Di Veroli – “Giugno, anime inquiete”

Architetture d’interni

“Mentre guidava verso casa la sua insofferenza peggiorò ulteriormente all’idea di tornare a circondarsi dell’arredamento della sua abitazione. Imbestialiva dalla rabbia ricordando come il suo ex marito durante la progettazione si fosse lasciato incantare da ogni proposta del suo borioso amico architetto. Ma era furiosa  ancora di più verso se stessa per essersi fatta sedurre da quei rendering sofisticatissimi in cui veniva rappresentata una casa fresca, giovane, moderna.

Ciò che invece aveva intorno a sé, e giornalmente l’assediava, era un’orrenda sequenza di pareti curve  e superfici inclinate. Sotto un intricato gioco di controsoffittature incastrate tra loro tipo puzzle tutto appariva in precario equilibrio. Un divano melanzana ed altri arredi di colori variabili tra il verde mela, il ciliegia e l’arancio − sull’acquisto dei quali il grande professionista aveva di certo lautamente lucrato − completavano il policromo, ortofrutticolo, insieme.  Più che la suggestione di vitalità plastica che il geniale figlioccio di Philippe Starck aveva sostenuto di voler comunicare, la sensazione che colpiva Claudia ogni mattina risvegliandosi era quella di vivere in un bordello high tech o, più esattamente, sul set di un film di Almodovar.  A parziale risarcimento della completa latitanza di idee davvero originali,  sparse un po’ qua e un po’ là, trionfavano lampade di design dalle forme accattivanti, pegno obbligato all’inimitabile gusto del tronfio progettista chissà se daltonico. “

da “Giugno, anime inquiete” – Massimo Di Veroli