Stili a confronto. Flaubert vs. Tolstoy: Il ballo

Tratto da: “Come scrivere un romanzo” di Antonella Lattanzi (Seminario del corso: COME SCRIVERE UNA GRANDE STORIA di Francesco Trento)

A poco più di vent’anni di distanza vengono pubblicati due romanzi con protagoniste due adultere (Madame Bovary nel 1856 e Anna Karenina nel 1878), entrambi premiati da uno straordinario successo. Nonostante le simmetrie non si limitino soltanto all’adulterio, per stile e carattere delle protagoniste ciascuno brilla di una luce propria e inimitabile.

E se Flaubert rappresenta una donna superficiale dominata dal desiderio affidandosi ai dettagli narrativi e ad una travolgente sensualità della narrazione (che gli varranno un processo, poi vinto, per oscenità), Tolstoj si mostra maggiormente interessato all’introspezione psicologica e alle conseguenze sociali delle gesta di una donna consapevole e fortemente combattuta che sceglierà di abbandonare tutto per inseguire un sentimento scandaloso e che alla fine verrà travolta dal senso di colpa e da un risentimento autodistruttivo una volta che si sentirà tradita dall’esaurirsi di quell’amore.

Singolarmente, nelle prime pagine dei due romanzi, viene rappresentato un ballo che segnerà il destino delle due protagoniste (e che in entrambi costituiscono quello che in linguaggio moderno potremmo definire quasi un teaser). Per Emma il fugace contatto con un mondo di lusso ed eleganza rappresenterà il punto di partenza per il rifiuto della propria realtà e lo stimolo ad abbandonarsi all’inseguimento di ogni proprio capriccio e desiderio di evasione:

“(…) Alcuni uomini (una quindicina) tra i venticinque e i quarant’anni, sparpagliati tra i ballerini o fermi a discorrere accanto alle porte, si distinguevano tra la folla per una certa aria di famiglia, anche se eran diversi d’età, abiti e fisionomie. Meglio tagliate, le loro marsine parevano fatte d’una stoffa più morbida e i loro capelli, arricciati sulle tempie, parevano lustrati con pomate più fini. Avevano l’incarnato della ricchezza, quel pallore che risalta tra i candidi riflessi delle porcellane, la cangiante lucentezza del raso, la squisita vernice dei bei mobili, il pallore che si conserva sano per mezzo di un regime discreto di vivande raffinate. Il loro collo girava comodamente nelle cravatte basse; i loro lunghi favoriti ricadevano sui colletti arrovesciati; per asciugarsi le labbra usavano fazzoletti ricamati con grandi iniziali ed emananti un soave profumo. Quelli che cominciavano a invecchiare avevano l’aria giovanile, mentre una certa maturità aleggiava sulle facce dei più giovani. Nei loro sguardi indifferenti si specchiava la tranquillità delle passioni quotidianamente saziate; e, attraverso i loro modi compiti, affiorava quel tanto di brutalità che deriva dal dominio delle cose non troppo difficili, in cui la forza si manifesta e la vanità si compiace, come nell’addestramento dei cavalli di razza e nella compagnia delle donne perdute. A tre passi da Emma un cavaliere in marsina blu parlava del l’Italia con una giovane donna pallida con una gran collana di perle. Magnificavano l’imponenza delle colonne di San Pietro, Tivoli, il Vesuvio, Castellammare e le Cascine, le rose di Genova, il Colosseo al chiar di luna. (…) A un certo punto uno dei ballerini, che veniva chiamato familiarmente visconte e che portava il panciotto molto aperto come modellato sul suo petto, invitò per la seconda volta la signora Bovary, assicurandole che l’avrebbe guidata lui e che lei se la sarebbe cavata benissimo. Cominciarono con lentezza, poi andarono sempre più in fretta. Volteggiavano: tutto girava intorno a loro, lampade, mobili, soffitto, pavimento, tutto, come un disco su un perno. Passando vicino alle porte, la veste di Emma si gonfiava all’orlo sino a sfiorare i pantaloni di lui; le loro gambe s’incrociavano; lui abbassava gli occhi su di lei, lei levava gli occhi verso di lui; la stremava un gran languore, si fermò. Ma poi ripartirono; e, con un movimento più rapido, il visconte la trascinò in fondo alla galleria, lì, senza fiato, lei si sentì cadere e appoggiò per un attimo la testa sul petto dell’uomo. E poi ancora, girando sempre, ma più dolcemente adesso, lui la ricondusse sino alla sua sedia; lei si lasciò andare contro la parete, una mano davanti agli occhi. Quando li riaprì, vide in mezzo al salone una signora seduta su un seggiolino, con davanti tre ballerini inginocchiati. L’eletto fu il visconte, il violino riprese a suonare. (…)

La notte era buia. Cadeva qualche goccia di pioggia. Lei respirò il vento umido che le rinfrescava le palpebre. La musica della festa le ronzava ancora negli orecchi, lei si forzava di restare sveglia, voleva prolungare l’illusione di quell’esistenza di fasto che sapeva di dover troppo presto abbandonare. Spuntava l’alba. Guardò a lungo le finestre del castello, cercando di indovinare le stanze di tutti quelli che aveva conosciuto quella sera. Avrebbe voluto conoscere anche le loro vite, penetrarvi, confondersi in esse. Ma stava tremando di freddo. Si spogliò, si rannicchiò tra le lenzuola contro Charles che già dormiva. (…)”

Gustave Flaubert – Madame Bovary

Il modo in cui invece Tolstoj decide di mostrarci lo sfarzo e la mondanità che fanno da cornice alla nascita nell’attrazione tra Anna e Vronskij è attraverso gli occhi di Kitty, la poco più che adolescente nipote di Anna, che nell’indovinare sul volto di Anna ciò che sta per accadere vede infrangersi tutti i suoi sogni di felicità:

“(…) Kitty era in una delle sue giornate felici. (…) Su per le spalle e le braccia nude Kitty sentiva freddo come di marmo, sensazione che amava in modo particolare. Gli occhi le scintillavano e le labbra vermiglie non potevano non sorridere della consapevolezza del proprio incanto. Non fece in tempo a entrare in sala e a giungere fino alla folla variegata, tutta tulle nastri pizzi e fiori delle signore in attesa di essere invitate (Kitty non si trovava mai fra queste), che già fu invitata al valzer, e dal migliore, dal primo cavaliere nella gerarchia dei balli, da un noto direttore di danze, gran cerimoniere, ammogliato, piacente e ben fatto, Egoruška Korsunskij. (…) 

– È un riposo ballare il valzer con voi – disse lui lanciandosi nei primi passi lenti del valzer. – Un incanto! una piuma! che précision! – diceva, ripetendo a lei quel che diceva a quasi tutte le sue buone conoscenti. Ella sorrise della lode e continuò a osservare la sala al di sopra della spalla di lui. Non era entrata in società da così poco tempo che al ballo tutti i visi potessero fondersi in un’unica estatica visione; non ne era neppure un’assidua frequentatrice alla quale tutti i visi potessero essere così noti da poterne ricevere noia; era nel giusto mezzo: animata, ma nello stesso tempo padrona di sé tanto da poter osservare. 

Nell’angolo a sinistra vide che si era raccolto il fiore della società. Là, inverosimilmente scollata, stava la bella Lidie, moglie di Korsunskij; là c’era la padrona di casa, e là brillava con la sua calvizie Krívin, sempre presente nella cerchia migliore; là guardavano i giovanissimi, non osando accostarsi, e là ella trovò Stiva e subito dopo vide la testa e la figura di Anna, in abito di velluto nero. Anche lui era là. Kitty non l’aveva visto da quella sera in cui aveva detto di no a Levin. Con i suoi occhi presbiti lo riconobbe subito e notò che la guardava. (…) Kitty vedeva Anna ogni giorno, era incantata di lei e se l’era figurata sempre in lilla. Ma ora, vedendola in nero, sentì che non ne aveva afferrato tutto il fascino. Le appariva completamente nuova e insospettata. Capì, ora, che Anna non avrebbe potuto essere vestita in lilla e che il fascino suo consisteva nell’emergere sempre dall’abbigliamento, così che l’abito indossato da lei non venisse notato. E il vestito nero con i merletti pregiati neppure si notava; era solamente una cornice, e ne balzava fuori lei, semplice, naturale, elegante e, nello stesso tempo, allegra e vivace. (…) Vronskij fece qualche giro di valzer con Kitty. (…) Durante la quadriglia non fu detto nulla di particolare. La conversazione, smozzicata, si aggirò ora sui Korsunskij, marito e moglie, che Vronskij descrivev in modo molto ameno, come cari bambini di quarant’anni, ora sul futuro teatro di società, e solo una volta la toccò nel vivo, quando egli le chiese se c’era Levin e soggiunse che gli era piaciuto molto. Ma Kitty del resto non si aspettava di più dalla quadriglia.

Attendeva la mazurca col cuore che le veniva meno. Le sembrava che nella mazurca si dovesse decidere tutto. Il fatto che durante la quadriglia egli non l’avesse invitata per la mazurca, non l’inquietava. Era sicura di ballare la mazurca con lui, come già ai balli precedenti, e rifiutò cinque cavalieri dicendo d’essere impegnata. Tutto il ballo, fino all’ultima quadriglia, fu per Kitty una magica visione di colori gioiosi, di suoni e di movimento. Tralasciava di ballare e chiedeva un po’ di riposo solo quando si sentiva troppo stanca. Ma ballando l’ultima quadriglia con uno di quei giovanotti uggiosi al quale non s’era potuto dir di no, venne a trovarsi vis-à-vis con Vronskij e Anna. Dall’inizio del ballo non si era più ritrovata con Anna; ed ecco, a un tratto, la vide ancora del tutto nuova e insospettata. Riconobbe in lei i segni dell’eccitamento dovuto al successo ch’ella stessa conosceva. Vedeva che Anna era come inebriata dall’incanto da lei suscitato. Conosceva questa sensazione, ne conosceva i segni e li vedeva in Anna. Vedeva lo scintillio degli occhi, tremulo e avvampante, e il riso di felicità e di eccitamento che senza volere le increspava le labbra; vedeva la grazia misurata, la sicurezza e la levità dei movimenti. « Ma per chi? » si domandò. «Per tutti o per uno solo?» (…) « No, non è l’ammirazione di tutti che l’ha inebriata, ma l’esaltazione di uno solo. E chi è quest’unico? Possibile che sia lui? ». Ogni volta che Vronskij parlava con Anna, negli occhi di lei si accendeva uno scintillio gioioso e un riso di felicità increspava le sue labbra vermiglie. Era come se ella volesse contenersi per non fare apparire questi segni, ma questi salivano da soli sul viso. «E lui?». Kitty lo guardò ed ebbe paura. Ciò che con tanta chiarezza appariva nello specchio del viso di Anna, Kitty vide anche in lui. Dove erano più quell’atteggiamento calmo e deciso e quell’espressione del viso liberamente serena? No, ora, ogni volta che egli si volgeva a lei, piegava un po’ il capo, quasi desideroso di caderle ai piedi, e nello sguardo suo non vi era che un’espressione di sottomissione e di paura. « Io non voglio offendervi – diceva ogni volta il suo sguardo – ma voglio salvarmi e non so come ». Un’espressione quale non aveva mai vista nel viso di lui. 

Parlavano di amici comuni, facevano la più insignificante delle conversazioni, ma a Kitty pareva che ogni parola pronunziata decidesse il loro e il suo destino. (…) Tutto il ballo, il mondo intero, tutto si coprì di nebbia nel cuore di Kitty. Soltanto la severa educazione ricevuta la sosteneva e l’obbligava a fare quello che da lei si pretendeva, cioè ballare, rispondere alle domande, parlare, sorridere persino. Ma, prima che cominciasse la mazurca, quando già si allontanavano le sedie e alcune coppie s’erano mosse dai salotti verso la sala grande, Kitty fu presa da un attimo di disperazione e di orrore. Aveva rifiutato cinque cavalieri e ora non ballava la mazurca. Non c’era neppure speranza che qualcuno l’invitasse; proprio perché ella aveva un così grande successo in società, a nessuno poteva venire in mente che non fosse stata invitata fino ad ora. Occorreva dire alla madre che non stava bene e voleva tornare a casa, ma non ne aveva la forza. Si sentiva annientata.

Si ritirò in fondo a un piccolo salotto e si lasciò cadere su di una poltrona. L’aerea sottana del vestito si sollevò come una nuvola intorno alla sua vita sottile; la mano nuda, magra e delicata di fanciulla, abbandonata e senza forza affondò nelle pieghe della tunica rosa; l’altra reggeva il ventaglio e con movimento rapido rinfrescava il viso accaldato. Ma a dispetto di questa sua parvenza di farfalla attaccatasi or ora a un filo d’erba e pronta a volar via aprendo le ali iridate, una tremenda disperazione stringeva il suo cuore. (…)”

Lev Tolstoj – Anna Karenina

Il cappello di Charles Bovary

Si trattava di uno di quei copricapi non ben definibili, nei quali è possibile trovare gli elementi del cappuccio di pelo, del colbacco, del cappello rotondo, del berretto di lontra e del berretto da notte, una di quelle povere cose, insomma, la cui bruttezza silenziosa ha la stessa profondità d’espressione del viso d’un idiota.

Gustave Flaubert – Madame Bovary