Finchè c’è una storia…

(…) La mia situazione è particolarmente toccante. Forse non triste come quella di un orfanello condannato a spazzare camini, ma quasi più triste di ogni altra cosa. Sono una scrittrice che, a causa di una serie di ingenui e inconsapevoli errori di giudizio, si ritrova con quattro figli e un marito, una casa di diciotto stanze senza una domestica, due alani, quattro gatti e – sempre che sia ancora vivo – un criceto. Forse da qualche parte c’è anche un pesce rosso. Ad ogni modo, questo significa che ho al massimo qualche ora al giorno da passare davanti alla macchina da scrivere, e circa sedici – supponendo che mi conceda qualche ora di sonno – da passare chiedendomi cosa cucinare stasera che non abbia già cucinato ieri sera, facendo uscire e rientrare i cani, cercando di dare un aspetto decente al soggiorno senza effettivamente pulirlo, accompagnando i figli alle lezioni di danza e di francese, alle feste e al cinema e alle lezioni di equitazione e poi in paese a comprare un disco di Ricky Nelson, e poi di nuovo in paese a cambiarlo con uno di Fats Domino, e poi a casa di un’amica ad ascoltarlo, e poi a comprare un nuovo paio di scarpette da ballo… É un miracolo che riesca a dormire anche solo quattro ore, sul serio. Soprattutto, vorrei aggiungere, perché non posso usare telefono; lo sta sempre usando qualcun altro. Il massimo che posso fare è gridare al figlio del macellaio, quando passa qui davanti con la sua macchina truccata, di dire a suo padre di prepararmi quattordici costolette d’agnello che passerò a prendere più tardi. A dire il vero, per una scrittrice, l’unico lato positivo di avere dei figli adolescenti è che si offendono molto facilmente. Potete allontanarli con una semplice parola o frase-tipo: « Perché non metti in ordine la tua stanza? » e ottenere un po’ di pace per scrivere. Si precipitano al piano di sopra e non scendono più fino all’ora di cena, e questo in genere mi lascia tempo a sufficienza per scrivere un racconto.

Ad ogni modo, supponendo che io stia scontando i miei errori di giudizio e che il tempo per scrivere non mi basti mai, vorrei trasmettere alcune cose che ho imparato da quei momenti tormentati, inquieti e tanto attesi in cui finalmente mi metto a scrivere; dove, tra parentesi, prendono forma le fissazioni della mamma. Mentre rifaccio i letti e lavo i piatti e vado in paese a cercare le scarpette da ballo, mi racconto delle storie. Storie su qualunque cosa. Semplici storie. Dopotutto, chi può concentrarsi sui propri gesti mentre passa l’aspirapolvere? Io mi racconto delle storie. Ne ho una fantastica sul cesto della biancheria che ora non posso raccontare, e poi storie sui calzini mancanti, sugli elettrodomestici della cucina, sui cestini della carta straccia, sui cespugli lungo la strada che porta a scuola, praticamente su ogni cosa. Mi mantengono attiva, le mie storie. Forse quella sul cesto della biancheria non la scriverò mai – anzi, sono quasi certa che non la scriverò -, ma finché so che li c’è una storia posso andare avanti a separare i capi bianchi da quelli colorati.

Non ho alcuna pazienza per chi pensa che si cominci a scrivere quando ci si siede alla scrivania e si prende in mano la penna e si finisca quando si rimette giù la penna; lo scrittore scrive sempre, vede tutto attraverso una sottile nebbiolina di parole, crea piccole, rapide descrizioni per ogni cosa che vede, osserva di continuo. (…)

Estratto da Paranoia di Shirley Jackson