Shabbat e mitzvòt per S.Y. Agnon

Che bello che è l’arrivo del Sabato al Muro del Pianto! Le pietre sante, la cui santità ci fa luce nel buio del nostro esilio, sono ancora più sante in questo giorno, e tutto Israele è più santo e si santifica in esso e nella memoria e nell’osservanza, in attesa della redenzione. O a memoria o con il formulario, Isacco pregava. A volte si lasciava commuovere dalle semplici e tuttavia toccanti melodie dei modernisti, a volte veniva travolto dalle vibranti, accalorate preghiere dei pietisti. Qualunque fosse la melodia che ascoltava, dentro di sé sentiva la propria, insieme a note sparse delle litanie che gli giungevano dalla sua città natale. In quel trasporto di cuore, Isacco scordava le proprie colpe e si sentiva come un bambino immacolato, candido come in quei primi tempi della sa vita, fanciullo della sua città – con un aggiunta di santità attinta da quella di Gerusalemme. Che bella che è la luce della misericordia, per l’anima che l’anela.

Ma la misericordia non è durevole, giacché questo dono si svela solo a tratti, a maggior ragione per chi non è poi così degno che la luce della suddetta lo ammanti costantemente. Per quanto ci si sforzi di mettere il nostro Isacco in buona luce, dobbiamo ammettere che non era migliore degli altri nostri compari. Che altro aggiungere al proposito? Tutti noi cerchiamo il meglio, ma quel meglio che cerchiamo non è il vero bene. Tutto ciò esige però una spiegazione, che si farà del nostro meglio per fornire al lettore.

Quando da giovani studiavamo la Torah, sapevamo che tutto ciò che vi sta scritto esiste per l’eternità. E l’unico desiderio di tutti noi, del nostro popolo, era quello di rispettare i precetti e compiere opere buone, così come tutto ciò che sta scritto nella Torah. In seguito, però, ci sono cascati per le mani altri libri, dove abbiamo scovato cose che nemmeno ci immaginavamo. Il dubbio si è infiltrato nella nostra coscienza. E quando siamo entrati nel territorio del dubbio, abbiamo cominciato a trascurare i precetti. Alcuni tuttavia li abbiamo mantenuti, per non fare arrabbiare i nostri genitori. Quando poi siamo saliti in Terra d’Israele, ritrovandoci liberi dal giogo paterno, abbiamo fatto che rigettare anche quello della Torah. Chi se ne è affrancato per ansia di libertà, chi pensando erroneamente che il Santo volesse da lui solo buon cuore e opere di misericordia. Alcuni pensatori del nostro tempo ci hanno dato manforte nell’errore, con le loro ricerche e i loro scritti, sostenendo che gran parte dei precetti non fossero altro che il frutto della condizione esilica. Sarebbe andata così: quando i nostri primi maestri, esiliati dalla nostra terra, cominciarono a temere che ci assimilassimo nelle genti, decisero di impartirci molti comandamenti, per tenerci separati dagli altri popoli. Infatti, finché Israele era rimasto sulla sua terra, che cosa avevano preteso i profeti, dalla gente? Un cuore buono e opere di misericordia. E così sarebbe stato di nuovo, quando fossimo tornati alla nostra terra. Adesso che ciò sta accadendo e che il pericolo di assimilazione ai gentili è passato, non ci sarebbe più bisogno dei precetti d’ordine pratico, come è detto nel Talmud: nel tempo a venire i precetti saranno aboliti. Più o meno in questo equivoco incorrono le belle anime di questo nostro tempo, cui andiamo dietro, senza renderci conto che i primi tempi ormai sono passati, ma il Messia ancora non è arrivato, e l’esilio c’è ancora. 

Queste idee governavano la generazione di Isacco. E anche lui, benché non fosse troppo preso dalle questioni intellettuali, si era sbarazzato della legge e del giogo dei precetti. Per questo motivo, la luce della misericordia divina svaniva appena la intravedeva, come quella lanterna che non avendo più pareti non riesce a mantenere viva la fiammella. (…)

S.Y. Agnon – Appena ieri – pagg. 328/329

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