Nuotando

Solo quando finalmente varcò la porta d’accesso alla zona della piscina e le sue narici furono raggiunte dall’odore del cloro, il suo nervosismo si dissolse.

A quanti ricordi era legato quel profumo amaro e sottile. Il nuoto era stato la grande passione della sua gioventù. L’aveva portata a gareggiare in diverse occasioni per il campionato italiano e per due volte era stata a un passo dal giungere in nazionale. Ancora adesso, a trentadue anni, appena poteva s’imponeva di infilare tra i suoi impegni lo spazio per una nuotata.

La vasca, semideserta al termine dei corsi dei bambini, esprimeva una tranquillità irreale. L’arrivo dei dopolavoristi del nuoto libero l’avrebbe presto riempita di nuovo facendo svanire tra schizzi e schiamazzi quel senso di muta sospensione.

Si tuffò godendo dell’irrazionale entusiasmo che le donò immergersi nello specchio d’acqua immoto. Il silenzio che regnava fuori e dentro la superficie l’avvolse per qualche breve istante.

Riscaldamento. Dieci vasche.

Nuotando in apnea allungò il suo corpo con movimenti ampi e lenti. Una sensazione di libertà e di padronanza di sé penetrò nella sua pelle. Bracciata dopo bracciata, man mano che sentiva spezzarsi il fiato e scaldarsi il suo corpo, il piacere dell’esercizio fisico cominciò lentamente a depurarla. Si sentì finalmente pacificata. Era come se, insieme all’acqua che stava remando dietro di sé, stesse spazzando via le scorie e le inquietudini che, dopo averla assalita per tutto il giorno, l’avevano seguita fin dentro lo spogliatoio. Da un paio di mesi aveva cominciato ad avvertire la presenza di un’ombra invisibile che ovunque andasse non l’abbandonava. Solo nel momento in cui se ne era liberata aveva avuto la percezione di quanto fosse opprimente il macigno che gravava continuamente sulle sue spalle.

Dorso. Due serie da quindici vasche.

Con un’energica spinta delle gambe si separò dal bordo della vasca e incurvò la schiena spingendo il ventre verso l’alto sul filo dell’acqua. Le spalle presero a mulinare le braccia con cadenza regolare mentre sopra di sé le capriate metalliche della copertura passavano rapidamente in sequenza una dietro l’altra. Le sembrò che rappresentassero gli anni della sua vita e la velocità con cui scorrevano sotto i suoi occhi la stessa con la quale erano trascorsi. Si rivide bambina e poi adolescente a osservare sopra di sé il tetto della vecchia piscina dove si era allenata per anni. Ripensò alle fantasie che si rincorrevano allora nella sua testa mentre macinava i chilometri.

Davvero non avrebbe mai immaginato di ritrovarsi dopo anni a fendere l’acqua allo stesso modo, con i palmi delle mani rivolti all’infuori,  vivendo una vita così lontana dai sogni di allora. Ricordi e illusioni cominciarono ad affollarsi nella sua testa sovrapponendosi gli uni agli altri. Quante energie sprecate, quanto tempo scivolato via dietro ai mille voli impossibili in cui si era persa nella sua fantasia.

Era il pensiero di quegli ultimi anni trascorsi senza più un obiettivo o un’idea a ferirla. Anni smarriti che ora cominciavano a soffocarla, a ferirla, a umiliarla.

Tempo. Correva troppo veloce per quelle che erano le sue capacità di viverlo. Lo sentiva sfuggirgli come acqua tra le mani. Maledetto tempo. Non sapeva come gestirlo, corteggiarlo, renderlo suo alleato. E se proprio le era impossibile amarlo che riuscisse almeno a non odiarlo.

Crawl. Due serie da venticinque vasche.

I gomiti piegati a quarantacinque gradi si sollevarono alti fuori dalla superficie per poi tornare subito a distendersi. Le mani aperte con le dita serrate, inclinate ad angolo acuto, s’immersero alternate sotto il peso delle braccia che rullavano attorno alle spalle. Nello stirare tutta la parte superiore del corpo alla ricerca dell’acqua lontana fu investita di nuovo da un’ondata di benessere. Era una di quelle sensazioni volatili, destinate a durare solo un attimo; come quando tiri un rovescio lungolinea che va a infilarsi all’incrocio delle righe o vedi gli occhi che ami illuminarsi per qualcosa di divertente che hai detto. Quel senso di soddisfazione che avverti quando ti accorgi che stai facendo qualcosa nel modo corretto, proprio come va fatta, al meglio. Claudia si domandò da quanto tempo non provava una simile emozione.

Pensò agli sguardi muti che ultimamente si vedeva rivolgere dai suoi genitori, da suo marito, dai suoi figli. Occhi scontenti, severi, che non facevano altro che denunciare quanto per loro fosse inadeguata come figlia, come moglie, come madre e come donna. A volte, schiacciata dall’insoddisfazione, si sentiva ancora bambina. Un’ adolescente capricciosa e ribelle quando contraddiceva suo marito solo per contestarne l’autorità  o una bimba tormentata e insicura quando si accorgeva di ricercare dai propri figli quelle risposte che sentiva di non avere.

Col sommarsi delle vasche l’una all’altra i suoi pensieri cominciarono via via ad alleggerirsi. Le braccia allentarono il loro ritmo, le gambe si fecero più pesanti. Claudia s’impose di concentrarsi soltanto sul respiro.

Forse leggeva sui volti dei familiari espressioni inesistenti, forse vedeva tutto più nero di quel che fosse in realtà. Fino a quando avrebbe continuato a intestardirsi nel cercare in superficie la tranquillità ed il silenzio che avvertiva sott’acqua?

Massimo Di Veroli, Giugno, anime inquiete, L’Erudita, pp. 36/38

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La sicurezza di sé dei tedeschi

“Pfull era uno di quegli uomini inalterabilmente senza speranza e fino al martirio sicuri di sé, quali sono soltanto i tedeschi, proprio perché solo i tedeschi fondano la loro sicurezza di sé su un’idea astratta , la scienza, una scienza che pretende di conoscere la verità assoluta. Il francese è sicuro di sé perché si considera sia intellettualmente sia fisicamente irresistibilmente affascinante sia per gli uomini sia per le donne. L’inglese basa la propria sicurezza di sé sul fatto di essere cittadino dello stato meglio ordinato del mondo, e pertanto, come inglese, sa sempre cosa bisogna fare, e sa anche che tutto ciò che egli fa come inglese è indubbiamente ben fatto. L’italiano è sicuro di sé perché è impulsivo e si dimentica facilmente di se stesso e degli altri. Il russo è sicuro di sé proprio perché non sa nulla e non vuole neppure sapere, perché non crede che sia possibile avere una conoscenza completa di qualcosa. Il tedesco è sicuro di sé nel modo peggiore, più irremovibile e antipatico di tutti, perché s’immagina di conoscere la verità, una verità assoluta che lui stesso ha inventato, ma che per lui è la verità assoluta. E tale era evidentemente Pfull”.

Lev Tolstoj – Guerra e pace