La retorica di certa letteratura o del cinema di Hollywood vuole che spesso siano state esaltate storie di sport in cui vittorie epiche fossero capaci di valorizzare virtù come la tenacia o la fede incrollabile nei propri mezzi così pubblicizzate in una società competitiva come la nostra ed alle quali alla fine è difficile non affezionarsi.
(https://dostoeskijedintorni.wordpress.com/2018/08/14/favole-dello-sport-2/)
Alcuni hanno scelto di raccontare grandi sconfitte, forse più interessati a far leva su quel segreto senso di rassicurante compiacimento che danno i fallimenti altrui − più sono grandi e maggiore ne è l’effetto consolatorio… −, sentimento comunissimo ma che, stranamente, non ha un nome. È quella singolare forma di curiosità un po’ morbosa e voyeuristica che viene cavalcata per giorni e giorni dai media a caccia di audience nel riportare le notizie di qualche disgrazia. La stessa che in autostrada provoca rallentamenti di per sé inspiegabili solo perché nella corsia a fianco si è verificato un incidente.
Altri ancora (Osvaldo Soriano, per citarne soltanto uno, ma ho in mente anche Sorrentino e il personaggio di Maradona in “Youth”) hanno cercato in certi magnifici ritratti di perdenti il fascino e la poesia della parabola discendente, dell’inappellabilità della sconfitta.
Raramente, almeno che io ricordi, sono state raccontate storie di sport capaci di trarre da una sconfitta esempi di vita così come per le vittorie. Eppure poche vicende come quelle create dallo sport sono in grado di certificare con cronometrica esattezza il fallimento di certe miserie umane.
È il caso di quanto è successo ai recenti europei di nuoto di Glasgow alla danese Pernille Blume, oro alle olimpiadi di Rio 2016 nei 50 metri stile libero, molto nota anche per la sua avvenenza. Alla manifestazione europea arriva accreditata di uno straordinario stato di forma ed infatti inizia facendo vincere alla propria nazionale un bronzo nella staffetta 4×100 stile libero grazie ad un tempo personale di 52.83 che è tra le migliori prestazioni stagionali.
Si arriva quindi al giorno della “sua” gara, i 50 metri stile libero, in cui la vera (ed unica) avversaria è la svedese Sarah Sjoestroem che lo scorso anno è riuscita a sconfiggerla ai mondiali di Budapest facendo segnare un 23.67 che le è valso il nuovo record del mondo. In semifinale la Blume nuota in 23.85 (miglior tempo dell’anno) superando la svedese che nell’altra semifinale si ferma a 23.92. È dunque la principale favorita per l’oro che alcuni prevedono possa vincere scendendo sotto il record della Sjoestroem. In effetti in finale la Blume si migliora scendendo ancora una volta sotto il tempo che le aveva valso l’oro a Rio ed arrivando ad 8 centesimi dal record della svedese che però è capace di nuotare in 23.74 bruciandola così per un solo centesimo.
Comprensibile la delusione della Blume ma i 100 metri in programma tre giorni dopo, alla luce anche dell’ottimo tempo fatto segnare nella finale della staffetta, appaiono una perfetta occasione di rivincita. Nei turni di qualificazione del mattino vince la propria batteria con estrema facilità. Il suo tempo di 52.97, ottenuto quasi senza mettere le gambe nei 50 metri finali, vale diversi decimi in meno ed è nettamente il migliore di tutte le altre batterie (con 48 centesimi sul secondo miglior crono appartenente alla Sjoestroem). Viene perciò pronosticata un po’ da tutti anche in questo caso come la grande favorita per la vittoria finale.
Nel pomeriggio sono in programma le due semifinali. Nella prima la Sjoestroem con 52.67 dimostra che anche nei 100 l’oro sarà una faccenda privata tra lei e la Blume. Arriva quindi il momento della seconda semifinale in cui la danese ha come avversarie competitive in pratica solo la francese Charlotte Bonnet alla quale ha dato 93 centesimi nelle batterie del mattino. Si sente – comprensibilmente − la finale in tasca ed allora le balena in testa un’idea. Chissà quando le sia venuta esattamente, se sul momento o dopo aver visto i risultati del mattino o durante i giorni trascorsi a rimuginare recriminando sul centesimo che le è costato quell’oro che da quando è stata sconfitta a Budapest stava attendendo come occasione di riscatto.
Sta di fatto che sale sul blocco di partenza per la semifinale dei 100 metri con la segreta intenzione di stabilire il record del mondo nei 50. A vederla spingere ad una frequenza forsennata subito dopo la risalita dalla subacquea i commentatori di Eurosport sono allibiti. Compie la prima respirazione più o meno ai 30 metri ed arrivata al termine della prima vasca invece di effettuare la virata tocca con la mano sul sensore per poi ripartire (perdendo così diversi metri rispetto alle sue avversarie).
Il suo tentativo di record del mondo fallisce: con 23.98 fa registrare un tempo più alto anche di quello nuotato nella finale di tre giorni prima. Poco male, è quello che deve aver pensato nel risolversi a buttarsi in questo tentativo: tanto le è sufficiente un ritorno intorno ai trenta secondi per arrivare comunque tra le prime ed entrare in finale. Ma le cose non vanno così. Accade invece che paghi lo sforzo e la perdita di tempo in virata ed alla fine faccia segnare un tempo di 54.71 che probabilmente non avrebbe fatto neanche con dei pesi legati alle caviglie.
Risultato: sesta nella propria gara (vinta dalla Bonnet) e decima in totale. Morale: esclusa dalla finale che sarà vinta il giorno dopo da Sarah Sjoestroem con 52.93 (vale a dire con un tempo più basso di soli 4 centesimi di quello nuotato in scioltezza dalla Blume nelle batterie di qualificazione, più alto di 1 decimo del 52.83 fatto registrare nella finale della 4×100 stile libero e di 1 secondo e 16 centesimi di quello che, con un sensazionale 51.77, la danese farà registrare l’ultimo giorno di gare nella finale della staffetta 4×100 mista regalando l’argento alla sua nazionale).
Al termine della manifestazione la Blume si porterà a casa 2 argenti ed un bronzo, un bottino che farebbe la felicità della maggior parte degli atleti. Non per la danese, però, che chissà per quanto tempo si sentirà bruciare al pensiero non tanto dell’oro nei 50 perso per un centesimo ma di quello buttato via nei 100 esclusivamente per il proprio atteggiamento superbo ed irrispettoso.
Muhammad Alì, Zlatan Ibrahimović, Usain Bolt. Esistono indubbiamente esempi di atleti sicuri di sé ai limiti dell’arroganza (a volte anche oltre…) e ciononostante vincenti. Ma rappresentano pur sempre dei casi isolati. Al pari del mito dell’atleta più debole che sconfigge il campione ritenuto imbattibile, novello David contro Golia, o quello di Jesse Owens alle Olimpiadi di Berlino, capace di vincere lottando contro tutto e tutti.
Eccezioni. Mentre, come dimostra la vicenda di Pernille Blume, nello sport così come nella vita di tutti i giorni la regola è ben diversa. E cioè che ad essere divorati da un’insoddisfazione “malata” che porti a guardare pieni di rimpianto continuamente al passato ed a quello che si è perduto si finisce rimanendo con ben poco in mano. Perché il confine tra ambizione e presunzione è forse il più sottile che ci sia…
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